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2. L'incontro con quel simpatico bambino gli aveva dato qualche speranza in più sulla presenza in quel posto di qualcuno che avrebbe potuto spiegare e lui il perché ed il come di quel luogo. Non sarebbe stato facile, eppure era certo che prima o poi lo avrebbe incontrato lungo il suo cammino. Una mattina come tutte le altre anche quella, anche se il suo stomaco brontolava sempre di meno in assenza di cibo. La fame non si faceva sentire da qualche giorno ormai e questo era un qualcosa di veramente insolito per alcuni versi, anche se non era qualcosa, ormai, al quale dava molto peso. Si alzò senza nessun altro pensiero e continuò a fare ciò che ormai faceva da qualche giorno a quella parte. Prima il neonato, dopo il bambino, ed ora? Quale sarebbe stata la prossima persona ad incontrare e che insieme a lui e gli altri due popolano quel dove? Domande senza risposta ancora per poco, pochissimo tempo. Quel giorno il tutto era un po insolito; l'aria che si respirava era molto diversa da tutti gli altri giorni. Era come pesante, un qualcosa di veramente insolito che faceva aumentare non di poco la sua fatica per ogni passo. Aria ma anche “pavimento” strano: da bianco iniziò a diventare giallastro, pian piano come un miscuglio di locoro di una piccola tavolozza che incrociandosi danno vita ad un'infinità di piccole sfumature. Era giallo, giallastro, un colore che a memoria sua aveva visto ben poche volte nella sua vita. Assomigliava molto al giallo delle foglie in autunno, che a causa della loro “vecchiaia” cadono al suolo e li restano per lungo tempo, fin quando non vengono assorbite dal terreno e tornano del loro ciclo naturale. Un giallo che diventava sempre più forte, fin quando non si udirono i primi pianti. Questi, a differenza dei primi, erano pieni di emozioni, pieni di sentimenti e di dolore. Non era un piango spontaneo, ma causato da un qualcosa. Aumentò il passo, di molto, per poter arrivare da quella creatura il prima possibile. Passo per passo intravedeva la figura di quella persona che era seduta per terra, come accasciata. Si avvicinò abbastanza da poterla vedere bene e per poter capire che si trattava di una giovane, una piccola adolescente che piangeva da sola in disparte. Era seduta con il capo rivolto verso il basso ed i suoi lunghi capelli ricadevano sulle sue gambe. Si avvicinò silenziosamente, tanto da non farsi sentire. Lei continuava a piangere, fin quando le pose una mano sulla spalla. Lei si voltò, non di istinto ma lentamente, come se non avesse minimamente paura di quell'estraneo che improvvisamente era arrivato li, come dal nulla, senza nessun minimo preavviso. Si voltò lentamente e mostrò il suo volto; aveva gli occhi gonfi, pieni di lacrime, che continuavano a scorrere in modo incessante. L'uomo aprì le grandi braccia e la abbracciò. I pianti si intensificarono ed i battiti del suo cuore aumentarono. Aspettò la sua calma per poterle parlare e capire il perché di quella sofferenza. Ci volle qualche minuto, ma finalmente le lacrime cessarono di scendere e riuscì a farlo. Dal quel viso quasi angelico non riusciva a distogliere il suo sguardo. Le chiese che cosa ci facesse li, e lei rispose dicendo che le avevano detto che sarebbe stato come andare a casa ed in effetti per lei casa era in quel modo. Anche a casa, in quella casa dove non esisteva la tristezza ed il dolore, anche se il peso dei ricordi facevano a volte cadere qualche lacrima dal suo visto. Le chiese il perché del pianto, e la rsposta non tardò ad arrivare. Pensava a sua madre, morta durante il parto del suo fratellino che non c’era nemmeno. La madre morì dopo pochi giorni, per cause che nemmeno i medici in ospedale seppero spoegare. Nonostante ciò non aveva avuto la minima possibilità di vedere suo figlio, visto che misteriosamente sparì dalla sua culla in ospedale, quasi fosse lasciato incustodito dai medici. Successivamente i giorni furono orrendi per lei; piangeva continuamente, per quelle due assenze, con la seconda che avrebbe potuto colmare un po di vuoto della prima. Parlò con alcuni suoi conoscenti, amiche ipotizzò, che le dissero di questa possibilità. “Sarà come tornare a casa”, le assicurarono, ma senza loro due quella non poteva più essere la sua casa. Gli occhi iniziarono a gonfiarsi e scoppiò nuovamente a piangere. Le disse che per tutto quel tempo aveva aspettato qualcuno che arrivasse li e che si accorgesse di lei, e finalmente lui era arrivato. Era una storia agghiacciante ed orrenda. Sopportare il peso di questi avvenimenti non era stato certo facile. Per poterla tranquillizzare, le disse di alzarsi e di fare una passeggiata insieme in modo da potersi rilassare. Si alzò ed iniziarono a camminare. Iniziò lui con una domanda chiedendole da quanto tempo fosse li, ma a questa domanda non riuscì a rispondere in modo preciso. “Tanto tempo”, disse. “Troppo”, aggiunse. Era davvero troppo tempo, li, da sola, senza nessuna certezza ma solamente con un mare di speranze. Riuscì a tranquillizzarsi, e chiese a lui di raccontare la sua storia. Lo fece molto velocemente, introducendo il suo viaggio per inizio e finendo per il ritrovarsi in quello strano posto. Lei ascoltava in silenzio, ma con gli occhi pieni di gioia. Lo si vedeva li che era felice, tranquilla a stare con quel misterioso uomo che man mano lo diventava sempre meno. Iniziarono a parlare di felicità, quella che lui stava cercando e che lei aveva perso. Per tutti e due si trattava di una cosa molto semplice, una cosa quasi banale, ma che ormai nessuno riusciva a dare: affetto e speranza per il futuro. Lui stava male, quasi mentalmente, con parecchi disturbi ed a causa di ciò necessitava in modo maggiore di questo. Le raccontò alcuni anedoti della sua vita, quando un giorno scoppiò a gridare, dentro se, e da quel giorno non aveva mai smesso di farlo. Urlava ancora in quel momento, urlava tutto quanto dentro lui e questo lo faceva soffrire. Lei le disse d stare tranquillo, ma ormai era inutile. Troppe persone avevano cercato di farlo, ma senza nessun esito. Non era quello il modo di aiuto, per uscire da quella situazione. Non era un semplice periodo, un brutto periodo. Era una cosa con la quale bisognava convivere e che quasi sicuramente non sarebbe andata mai via. Faceva parte del suo pensiero ormai, di quella “testa malata” che non voleva guarire. Le disse che ora c’era lei lì, e che l’avrebbe aiutato. La ringraziò. Leì gli racconto della sua passione dei nodi, e spiegò la presenza di quella piccola corda accanto a lei che aveva deciso di portare con se. Continuarono a parlare di argomenti vari, fin quando lui non si accorse che si era fatto tardi e che doveva andare per poter continuare il suo viaggio. I suoi occhi si gonfiarono un’altra volta e scoppiò a piangere. Le disse che non doveva soffrire, che qualcuno dopo lui sarebbe ripassato da li. Ma lei non ne voleva che sapere, ed alla fine, per quanto possibile, decise di portarla con se. Dopotutto avrebbe potuto avere una compagnia di avventura, una compagnia di quel viaggio tanto strano.Un abbraccio e si incamminarono. Ad un tratto, quasi per magia, quel tutto che prima era giallastro diventò nuovamente bianco. Pensò, forse, che quello era il segno della sua venuta. Aiutare qualcuno è sempre una buona cosa.

Parte Finale. Una normale passeggiata, e continuarono a passeggiare per tutto il cammino. Ad un tratto si sentì chiamare da una voce lontana che non aveva mai sentito prima in vita sa. Chiamava il suo nome, come se lo conoscesse molto bene. Come era possibile questo? Ad un tratto, ciò che era solamente veloce, diventò anche anima e dunque corpo. Una persona che appariva con una bianca maschera al volo, in grado di nascondere qualsiasi tratti somatico, caratteriale o sentimentale del misterioso interlocutore che si trovava davanti a lui. Disse alla ragazza di andare via, scappare da lì. Esitò, non una sola volta sola, ma alla fine capì che era la cosa giusta da fare. Per quel che era possibile, lo salutò ed andò via. Ora erano rimasti in due, i soli artefici di tutto ciò. Passo per passo si avvicinò, lentamente. Dal suo passo si poteva notare un certo numero di anni che, ipotizzando, potevano essere circa 60. Movimenti lenti, ma sicuri, senza nessun minimo tentennamento. Quando si avvicinò, la distanza di un respiro separava i due. “Devi fermarti”, gli disse in modo intimidatorio, “o sarò costretto a portarti con me”. Si spaventò, salirono i brividi ed iniziò a correre. Il misterioso uomo dietro a lui continuava, in un modo stranamente tranquillo, a ripetere quelle parole. Non lo sentì, continuò a correre nonostante l'avviso quando all'improvviso cadde per terra, con le gambe come paralizzate. Il misterioso uomo si avvicinò anche questa volta con calma, anche vista la condizione fisica della sua preda. Non sentiva nessun dolore, nessun minimo dolore, eppure continuava ad essere immobile non riuscendo a muovere le gambe. Si avvicinò un'altra volta, questa volta in modo più deciso. Arrivato, gli sollevò il capo ed iniziò a parlare: “ Devi fermarti, lo hai capito? Vuoi continuare ad essere ciò che sei, oppure dare tutto per questa stupida cosa della quale sei alla ricerca?”. Rispose, con gli occhi pieni di lacrime: “Portami, portami dove vuoi. Ma prima, lasciami superare questi maledetti confini. Ormai non ho nulla da perdere”. Si alzò, mentre al suo fianco l'altro uomo lo osservava. Il suo cuore batteva forte, e questo lo aiutava. Iniziò a correre, ancor più veloce di prima. Ci volle qualche secondo. Uno schianto. Un urlo. E dopo il silenzio. Era suo compito, ora, fare il resto. Andarono via insieme, tutti e due con un grande sorriso stampato sui loro volti.


"Un giorno andai al cimitero e vidi una lapide strana, diversa dalle altre. C'era un filo che fuoriusciva da essa e procedeva sul terreno per qualche centimetro. Chiesi in paese della storia di questa persona, ed una sola seppe rispondermi: da quando era nato cercava qualcosa che i suoi genitori non conoscevano e non potevano dargli. Per questo piangeva sempre. Crescendo le cose non cambiarono. Continuava a parlare con tanta gente, ma nessuno riusciva a dargli ciò che cercava. Da adulto le cose non andarono meglio. Il lavoro non gli dava ciò che cercava ed i suoi colleghi con riuscivano a capire di cosa avesse bisogno. Un giorno questa persona lo vide al bar, seduto solo in un angolo e gli offrì un caffè. Iniziarono a parlare, e si ritrovarono in quel luogo ogni sabato per 10 anni. Un giorno lo aspettò, ma non arrivò, e si diresse preoccupato a casa sua. Lo vide per terra, con gli occhi pieni di dolore, rivolto con la pancia verso il basso. Tornai subito al cimitero dopo il suo racconto ed osservai bene la lapide. Bisognava chinarsi per leggerlo: "La felicità sta oltre i confini della mente". Forse, e ripeto forse, quel filo che usciva dalla sua lapide era lo sconfinamento dai limiti della sua mente, di quella generalmente umana."
     
 
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