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Pier della Vigna noto anche come Pier delle Vigne (in latino Petrus de Vinea[1]; Capua, 1190 circa – Toscana, 1249) è stato un politico, scrittore e letterato italiano del Regno di Sicilia, ritenuto tra i più grandi maestri dell'ars dictandi.

Tutte le ipotesi sulla sua caduta in disgrazia e sulla sua morte sono da considerare mere congetture. Tuttavia, in una lettera indirizzata al genero, conte Riccardo di Caserta, Federico riferisce di lui che ha "trasformato il bastone della giustizia in un serpente", recando pericolo e danno all'impero[3]. A detta dell'imperatore, insomma, si sarebbe macchiato di corruzione, denunciando come nemici dello stato persone innocenti per poterne confiscare i beni[3]. Va detto che la diffusione della fama di vittima di Pier della Vigna va fatta risalire a un tempo successivo alla fine della dinastia sveva, tanto più che i giudizi dei contemporanei (Matteo Paris o Salimbene de Adam) instistono sulle sue attività proditorie e sui suoi contatti col papa Innocenzo IV[3]. La questione rimane ad ogni modo aperta e i giudizi di colpevolezza e innocenza andrebbero rivisti alla luce del contesto storico di forte contrapposizione del tempo e a seconda quindi se provengano dalla fazione ghibellina o da quella filo-papale.

Nacque a Capua, intorno al 1190, da una famiglia benestante. Molto probabilmente frequentò lo Studium di Bologna, dove potrebbe essere stato allievo di Bene da Firenze, come potrebbe forse dedursi da una lettera in cui Terrisio d'Atina esprimeva a studenti e professori dell'Università di Bologna il cordoglio per la morte del maestro Bene[2].

Iniziò la sua carriera nel 1220 come notaio (tabellione) al servizio dell'imperatore Federico II di Svevia (ma è dal 1224 che è menzionato per la prima volta giudice della Magna Curia imperiale). In questa veste, Pier della Vigna faceva parte di quella équipe di notai, letterati e calligrafi, ovvero di dictatores, che redigevano documenti, ma soprattutto lettere e circolari dell'imperatore. Tali lettere risultano tra le testimonianze più rilevanti dello stilus supremus (salvatorstil), quello stile elegante e solenne sorto in Francia nel XII secolo e poi fatto proprio dalla Curia pontificia e da quella federiciana, e che sarà ripreso nel tardo-medioevo. Fu impegnato anche attivamente nella vita culturale del cenacolo federiciano. Fu infatti in contatto con il medico e filosofo Teodoro di Antiochia e con altri scienziati, e nelle sue lettere si ritrovano osservazioni di contenuto filosofico e teologico. Si spese anche per lo sviluppo e poi per la protezione dell'Università di Napoli, e probabilmente nel 1224 realizzò la lettera circolare che sanciva la fondazione dell'istituzione.

Nel 1224-25 fu quindi giudice imperiale, una carica per la quale si vedrà affidare diverse missioni diplomatiche. Dal 1239 ricoprì la carica di logoteta (anche se vi compare a capo dell'ufficio nei Regesta Imperii solo dal 1243), ovvero di superiore di tutti i notai e custode dei sigilli dell'Impero (protonotario). Aveva inoltre il compito di annunciare ai regnicoli i proclami emessi dall'imperatore[3]. Tenne l'incarico di "gran giudice della corte imperiale" fino al 1246, ricoprendo un ruolo di rilievo presso il supremo tribunale. In questo ruolo fece parte della commissione che presiedette alla realizzazione delle Costituzioni di Melfi (1231), codice legislativo emanato da Federico II nel castello della città lucana, considerata tra le più importanti codificazioni della storia del diritto.

Dal 1230 fino alla fine della sua carriera fu attivo nel campo diplomatico come ambasciatore imperiale presso la corte papale e i comuni del nord Italia. L'acme della sua carriera diplomatica coincise con il suo soggiorno in Inghilterra nel febbraio-maggio del 1235, durante il quale registrò nella veste di procuratore il matrimonio fra l'imperatore e Isabella, sorella di re Enrico III (per ringraziarlo il re, nominandolo suo vassallo, gli assegnò una rendita annuale di 40 lire d'argento). Nel corso della sua carriera di alto funzionario di corte accumulò un vasto patrimonio (terreni e residenze a Capua, Napoli, Aversa, Foggia e in Terra di Lavoro) e tentò di rafforzare la posizione della propria famiglia.


Piètro della Vigna (o Pier delle Vigne; lat. mediev. Petrus de Vinea o de Vineis). - Uomo politico (n. Capua 1190 circa - m. presso Pisa 1249); di oscura famiglia, compì gli studî a Bologna; presentato (1225) a Federico II da Bernardo arcivescovo di Palermo, divenne notarius, poi giudice della magna curia fino al 1234, in seguito uno dei principali collaboratori dell'imperatore. Svolse importanti missioni diplomatiche a Roma e in Inghilterra; divenuto protonotario e logoteta di Sicilia, venne però coinvolto in una congiura ordita, si disse, per avvelenare Federico e fu arrestato a Cremona per ordine sovrano; trasferito in catene di città in città per essere schernito da tutti, fu accecato con un ferro rovente sotto accusa di lesa maestà. Sembra che non morisse subito, ma che si desse la morte ferendosi la testa, presso Pisa; tra i cronisti che lo difesero dall'accusa di tradimento va ricordato fra Salimbene da Parma; alla sua innocenza crede pienamente anche Dante, che ne esalta la figura nel canto XIII dell'Inferno. Dotto giurista, politico impegnato nel problema della riforma della Chiesa (cfr. il suo Epistolario), occupa un posto notevole anche nella storia letteraria quale poeta della scuola siciliana e maestro dell'ars dictandi.
     
 
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