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E se non esistessero? Sono nati tra il 1980 e il 2000. Hanno, cioè, tra i quattordici e i trentaquattro anni. Possono uno che fa l'esame di terza media e uno che è stato adulto per metà della sua vita appartenere alla stessa generazione? Certo, il problema è il concetto stesso di "generazione", che copriva un paio di decenni anche nel caso precedente (Generazione X, nati dall'inizio degli anni Sessanta alla fine degli anni Settanta); ma, se "generazione" indica gli stessi consumi culturali, è difficile possa includere una gamma di età all'interno della quale si fa in tempo a essere gli uni figli o genitori degli altri. Certo, i nati nell'80 sono narcisisti quanto quelli del 2000. Ma lo sono anche quanto quelli del ‘50, del ‘60, del ‘70: se la campagna di sensibilizzazione per la SLA ha quell'invidiabile successo, è perché punta sull'esibizionismo degli abitanti di questo tempo, qualunque età abbiano. L'urgenza di stare al centro della scena, con un'opinione o un autoscatto o una secchiata di ghiaccio, non riguarda certo solo quelli nati in quel ventennio: riguarda quelli che vivono in questo secolo. Sul lungo periodo siamo tutti della stessa generazione: a cinquant'anni avremo la stessa nostalgia per le elementari e per l'università. Ci struggeremo per il tormentone estivo sentito durante il primo bacio e per quello che passava in radio l'estate della nostra prima convivenza. Ma, a quattordici anni, non hai, si spera, granché in comune con chi ne ha più di trenta. Per quanto i trentenni di oggi siano immaturi. Per quanto gli adolescenti di oggi siano scafati. Se tutto — libri, dischi, pubblicità — viene concepito a misura di millennial, il rischio è che non vada bene a nessuno: il tentativo di piacere a troppi finisce col creare prodotti che non risultano interessanti per nessuno. A quattordici anni v'interessavano i film per ultratrentenni? Anche se avevate quattordici anni una generazione fa, ve lo ricorderete: a quattordici anni, i trentaquattrenni li consideravate dei vecchi. Persino la crisi del maschio, un concetto sempre uguale a se stesso, fa in tempo a cambiare tra le due date: siete nati l'anno in cui Dustin Hoffman veniva piantato da Meryl Streep e doveva imparare a preparare la colazione al figlio? O l'anno in cui si dava per scontato che le madri fossero in carriera, ma la virilità ne era comunque minacciata, e a Kevin Spacey toccava innamorarsi di una liceale per compensare? Non vorremo far finta che l'anno di Kramer contro Kramer e quello di American Beauty abbiano qualcosa in comune. E cos'avete sentito alla radio, in culla? Il vostro primo Sanremo era quello che aveva Gioca Jouer per sigla (1981) o quello in cui Jovanotti andava a chiedere di cancellare il debito (2000)? Chi è stato piccolo quando ancora c'era il juke-box (e quando il walkman giallo, quello teoricamente impermeabile, era un'avanguardia) può mai avere una formazione comune con chi era all'asilo quando l'iPod era già superato? Naturalmente la discriminante è Internet. È chiaro che l'hanno pensata così: i millennials sono l'ultima generazione non nativa digitale. Ma non è vero neanche quello. A metà anni Novanta era già abbastanza normale avere una connessione in casa. Certo, c'erano i modem collegati al filo del telefono che facevano quel fischio ormai vintage, ma i consumi culturali erano già invecchiati di botto: alcuni nostalgici continuavano a comprare riviste straniere che arrivavano nell'edicola più fornita della città un paio di settimane dopo che quelle stesse notizie erano comparse sui siti. Sul lungo periodo sarà la stessa cosa, essere nati nell'anno in cui bisognava avere in casa Il nome della rosa o quello in cui bisognava fingersi intenti in letture molto più engagé di Angeli e demoni. Per ora, però, sembra che le etichette concepite dai sociologi abbiano l'esattezza delle previsioni degli economisti o degli astrologi.
     
 
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